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Debiti tributari della società estinta

Responsabilità dei soci per i debiti tributari della società estinta Responsabilità dei soci per i debiti tributari della società estinta La sentenza, a Sezioni Unite, n.3625/2025 della Corte di Cassazione. In un altro articolo avevo già scritto dei crediti della società estinte. Quid iuris per i debiti sociali delle società estinte ? La Suprema Corte è intervenuta (nuovamente) sui debiti delle società estinte con l’importante sentenza, a Sezioni Unite, n.3625 del 12 febbraio 2025. La Corte ha richiamato l’indirizzo maggioritario, costituente ormai «diritto vivente» (cfr. Cass., 5 novembre 2021, n. 31904), con il quale si afferma che il limite di responsabilità dei soci di cui all’art. 2495 c.c. non incide sulla loro legittimazione processuale ma appunto sull’interesse ad agire dei creditori sociali. Tale interesse, tuttavia, non è di per sé escluso dalla circostanza che i soci non abbiano partecipato utilmente alla ripartizione finale, potendo, ad esempio, sussistere beni e diritti che, sebbene non ricompresi nel bilancio di liquidazione della società estinta, si siano trasferiti ai soci. Dunque il creditore potrebbe avere interesse al mero accertamento del diritto, e l’eventuale insussistenza di attivo distribuito potrebbe incidere sulla esigibilità del credito in fase esecutiva (Cass. 8 marzo 2017, n. 5988; Cass., 7 aprile 2017, n. 9094; Cass., 24 gennaio 2018, n. 1713; Cass. 19 aprile 2018, n. 9672; Cass., 5 giugno 2018, n. 14446; Cass., 16 giugno 2017, n. 15035; Cass. 16 gennaio 2019, n. 897; Cass., 18 dicembre 2019, n. 33582; Cass., 26 giugno 2020, n. 12758; Cass., 19 novembre 2020, n. 26402; Cass., Sez. Un., 15 gennaio 2021, n. 619; Cass., 4 gennaio 2022, n. 2). Anche in ambito tributario – prosegue la Corte – la possibilità di sopravvenienze attive, o anche semplicemente la possibile esistenza di beni e diritti non contemplati nel bilancio, non consentono di escludere l’interesse dell’Agenzia a procurarsi un titolo nei confronti dei soci, «in considerazione della natura dinamica dell’interesse ad agire, che rifugge da considerazioni statiche allo stato degli atti» (cfr. Cass., 7 aprile 2017, n. 9094; Cass., 16 giugno 2017, n. 15035; Cass, Sez. Un. 15 gennaio 2021 n. 619). Inoltre, la Corte ha ricordato che è necessario provare l’effettiva percezione delle somme da parte dell’ex socio a titolo di legittimazione passiva, e questo onere incombe ex art. 2697 cod.civ. (trattandosi di elemento costitutivo della fattispecie di responsabilità) sul creditore che agisce (cfr. Cass. 26 giugno 2015, n. 13259; Cass., 23 novembre 2016, n. 23916; Cass. 31 gennaio 2017, n. 2444; Cass., 22 giugno 2017, n. 15474; Cass., 4 dicembre 2019, n. 31933; Cass., 15 gennaio 2020, n. 521). Sul piano sostanziale, qualora all’estinzione della società, di persone o di capitali, conseguente alla cancellazione dal registro delle imprese, non corrisponda il venir meno di ogni rapporto giuridico facente capo alla società estinta, si determina – dunque – un fenomeno di tipo successorio, in virtù del quale: l’obbligazione della società non si estingue (ciò che sacrificherebbe ingiustamente il diritto del creditore sociale) ma si trasferisce ai soci, i quali ne rispondono, nei limiti di quanto riscosso a seguito della liquidazione o illimitatamente, a seconda che fossero limitatamente o illimitatamente responsabili per i debiti sociali;i diritti e i beni non compresi nel bilancio di liquidazione della società estinta si trasferiscono ai soci, in regime di contitolarità o comunione indivisa, con esclusione delle mere pretese, ancorché azionate o azionabili in giudizio, e dei crediti ancora incerti o illiquidi, la cui inclusione in detto bilancio avrebbe richiesto un’attività ulteriore (giudiziale o extragiudiziale), il cui mancato espletamento da parte del liquidatore consente di ritenere che la società vi abbia rinunciato, a favore di una più rapida conclusione del procedimento estintivo;la cancellazione della società ha effetto costitutivo immediato ma non comporta l’estinzione, in danno dei creditori ed in violazione dell’art. 24 Cost., delle obbligazioni sociali. Dunque gli ex soci rispondono (di un debito che non è nuovo, derivando esso non dalla liquidazione ma dal pregresso svolgimento dell’attività societaria in adempimento del contratto sociale, così mantenendo invariata la sua causa e la sua natura giuridica d’origine) quali successori, seppure intra vires ex 2495 co. 2 c.c. (ovvero illimitatamente, a seconda del regime di responsabilità attivo in pendenza del rapporto sociale). Pertanto, posto che la condizione di cui all’articolo 2495 2° co. c.c. è condizione dell’azione inerente non alla legittimazione passiva (ad causam) bensì all’interesse ad agire e, in caso di contestazione, è il creditore sociale che agisce a dover provare tanto la veste di ex socio del convenuto quanto il presupposto di cui al citato articolo, la Corte ha affermato tre principi di diritto: 1) Nella fattispecie di responsabilità dei soci limitatamente responsabili per il debito tributario della società estintasi per cancellazione dal registro delle imprese, il presupposto dell’avvenuta riscossione di somme in base al bilancio finale di liquidazione, di cui al 3^ (già 2^) co. dell’art. 2495 cod.civ., integra, oltre alla misura massima dell’esposizione debitoria personale dei soci, una condizione dell’azione attinente all’interesse ad agire e non alla legittimazione ad causam dei soci stessi; 2) questo presupposto, se contestato, deve conseguentemente essere provato dal Fisco che faccia valere, con la notificazione ai soci ex artt. 36 co. 5^ d.P.R. n. 602/73 e 60 d.P.R. 600/73 di apposito avviso di accertamento, la responsabilità in questione, fermo restando che l’interesse ad agire dell’Amministrazione finanziaria non è escluso per il solo fatto della mancata riscossione di somme in base al bilancio finale di liquidazione, potendo tale interesse radicarsi in altre evenienze, quali la sussistenza di beni e diritti che, per quanto non ricompresi in questo bilancio, si siano trasferiti ai soci, ovvero l’escussione di garanzie; 3) la verifica del presupposto dell’avvenuta riscossione di somme in base al bilancio finale di liquidazione, concernendo un elemento che deve essere dedotto nella fase di accertamento da indirizzarsi direttamente nei confronti dei soci ex art. 36 co. 5^ d.P.R. n. 602/73, non può avere ingresso nel giudizio di impugnazione introdotto dalla società avverso l’avviso di accertamento ad essa originariamente notificato, quand’anche questo giudizio venga poi proseguito, a causa dell’estinzione della società per cancellazione dal registro delle

Arbitrato – Potere Cautelare degli arbitri

Arbitrato – Potere Cautelare degli arbitri (riforma Cartabia) Il terzo abstract sulla riforma Cartabia prosegue sul tema dell’arbitrato ed è dedicato alla nuova formulazione dell’art.818 c.p.c. Il previgente art.818 c.p.c. prevedeva che gli arbitri non potessero concedere sequestri, né altri provvedimenti cautelari, salva diversa disposizione di legge. Il nuovo art.818 c.p.c. recita quanto segue:Le parti, anche mediante rinvio a regolamenti arbitrali, possono attribuire agli arbitri il potere di concedere misure cautelari con la convenzione di arbitrato o con atto scritto anteriore all’instaurazione del giudizio. La competenza cautelare attribuita agli arbitri è esclusiva. Prima dell’accettazione dell’arbitro unico o della costituzione del collegio arbitrale, la domanda cautelare si propone al giudice competente ai sensi dell’art. 669-quinquies.La riforma ha finalmente attribuito al Collegio Arbitrale il potere di emettere misure cautelare per le materie attribuite alla propria competenza, naturalmente ove la convenzione di arbitrato lo preveda espressamente. Si tratta di un potere che era già riconosciuto in altri ordinamenti ma mancava nel nostro. La riforma, in una ottica deflattiva del procedimento ordinario, in favore di istituti alternativi o concorrenti, ha colmato lacuna, rendendo «appetibile» il ricorso all’istituto dell’arbitrato. Il potere coercitivo degli arbitri è comunque soggetto a reclamo. Il nuovo art. 818-bis c.p.c. prevede, infatti, che la misura cautelare accolta (o negata) dagli arbitri sia reclamabile avanti alla Corte d’Appello competente per territorio, per i motivi di cui all’art.829 c.p.c. o per contrarietà all’ordine pubblico. Il nuovo art. 818-ter c.p.c. prevede, infine, che l’attuazione della misura cautelare rimanga affidata (ex artt. 669-duodecies e 677 c.p.c.) al controllo del Tribunale nel cui circondario è la sede dell’arbitrato o, se la sede non è in Italia, del Tribunale del luogo ove la misura cautelare deve essere attuata. La ratio di tale ultima norma è evidente: gli arbitri sono soggetti privati privi dello ius imperii e di poteri coercitivi propri del giudice ordinario. Gli articoli in questione, ai sensi dell’art. 35, comma 1 (come modificato dalla legge di bilancio, 29 dicembre 2022, n.197, art.1 comma 380), si applicano ai procedimenti instaurati dopo 28 febbraio 2023. © Avv. Luca Campana | Benacus Firm

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